Mercoledì 4 Febbraio 2009
Diversamente da analoghe operazioni la musica non perde nulla senza il confronto con le immagini e il ricco booklet allegato al disco ne fa invece un’opera che si presta a ulteriori riflessioni e usi.
Nelle ventiquattro pagine del libretto scorrono i fotogrammi dei filmati girati sui fronti del conflitto dall’Adamello al Friuli al Piave sino alla Trieste visitata dal Re e citazioni tratte da resoconti d’epoca tradotti in italiano, sloveno, tedesco e friulano. Per ognuna delle quattordici parti nelle quali è suddivisa la musica altrettante brevi e folgoranti testimonianze che raccontano il dolore, lo stupore, la crudeltà. L’ascolto perciò delle musiche è accompagnato da suggestioni che ne collocano il progredire nel quadro del contesto storico, un contesto che diventa universale nel parlare della sofferenza e della tragedia della guerra.
A questo materiale così palpitante Cojaniz si è approcciato con umiltà e ha saputo viverlo in modo totale. Arrivano immediate le sue impennate polemiche come quando ridicolizza il tronfio militarismo con marce innaturalmente meccanizzate o la retorica patriottica con una versione grottesca dell’inno di Mameli. Oppure il sentimento di pietà per le vittime recuperando la tradizione innodica laica e religiosa e il blues giungendo a tributare nel momento di massimo orrore sullo schermo, l’immagine di due soldati morti trafiggendosi con le baionette, un silenzio che dice più di mille note. Un flusso continuo di suoni tratti dalla tastiera, ma anche direttamente dalle corde del pianoforte attingendo da molteplici generi. Si è voluto, giustamente, pubblicare anche il bis della serata, il vecchio standard “Just a Gigolò”.
Cojaniz libera la tensione della performance giocando con questa melodia antica e saggia perché la vita e le sue manifestazioni come l’amore e il gioco sono l’antidoto migliore alla follia della guerra.
Flavio Massarutto