Vi segnaliamo l’ennesima recensione del disco “Non son tornati” di Claudio Cojaniz, prodotto in collaborazione con l’associazione culturale Cinemazero.
“In una sera d’estate dello scorso anno, a Pordenone, Claudio Cojaniz si sedette davanti ad un piano, in un teatro all’ aperto. Davanti a lui uno schermo cinematografico rimandava al pubblico le immagini, crudeli, di documentari dei tempi della prima guerra mondiale. Il pianista aveva davanti le partiture che lui stesso aveva composto per commentare quei minuti d’ orrore e di lontana tragedia.
La cronaca sonora di quella serata è ora documentata su un cd, pubblicato da Cinemazero ed Atracoustic di Pordenone, corredato da un bel booklet (in Italiano, tedesco, sloveno e friulano) con testi, foto d’epoca ed una breve, toccante, introduzione del pianista. E’ probabile che la mancanza di immagini tolga qualcosa alla musica suonata quella sera. E’ anche vero, però, che Cojaniz è artista di profonda e non dissimulata sensibilità. Il disco quindi può essere ascoltato anche indipendentemente dalle mute, accelerate sequenze in bianco e nero. L’ atmosfera sonora che si coglie immediatamente è quella dei primi cinema, quando qualche pianista commentava le storie narrate dalle ombre dello schermo.
La scrittura musicale è ricca di scorie e frammenti: marcette e inni, canzoni alpine, (Signore delle cime, è, continuamente variato, il leit motiv della prima parte) relitti di tardo romanticismo, odori di rag time e di can-can, ventate di blues, brividi di sperimentalismo, quando il piano viene suonato direttamente sulle corde. Nello straziante requiem dell’ ottava traccia il pianista friulano rende anche un tributo ad Abdullah Ibrahim. Ma la forza di questo lavoro non sta certo solo nel mero assemblaggio di materiali sonori. Quello su cui lavora Cojaniz è una memoria profonda, dolorosa, che come un fiume carsico scava ancora nella profondità delle coscienze.
Non c’ è alcun intento retorico. Non ci sono soluzioni ad effetto, né proclami ideologici E’ anzi il silenzio che a volte sembra sospirare (o gridare) di pena nella narrazione sonora. Le note e gli accordi danno voce alle ombre di quei giovani soldati morti tanto tempo fa e la voce viene da lontano, da quelle strane profondità che solo il bianco ed il nero sono capaci di evocare. Non sono tanti i dischi capaci di lasciare l’ ascoltatore con gli occhi lucidi. “Non son tornati” è uno di questi.
Anche e soprattutto quando, alla fine, la tensione della memoria del grande macello viene stemperata da un inaspettato “Just a Gigolo”, omaggio di Cojaniz all’adorato Monk. L’ arte riprende il suo posto. Forse non servirà ad arginare la follia del mondo: ma c’è, e consola.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia”
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